Una duplice terapia con inibitore della proteasi garantisce l’efficacia del trattamento di mantenimento
Duplice terapia: dai risultati di una meta-analisi di trial clinici presentata alla conferenza emerge che, in pazienti che hanno raggiunto l’abbattimento della carica virale, un duplice trattamento di mantenimento a base di lamivudina e un inibitore della proteasi potenziato ha la stessa efficacia di una triplice terapia anch’essa basata su un inibitore della proteasi potenziato.
Il combinato di lamivudina e inibitore della proteasi potenziato rappresenta una valida opzione terapeutica per le seguenti motivazioni:
- Nei paesi ad alto reddito, la versione generica di ogni regime semplificato analizzato, più economica di quella tradizionale, sarà disponibile nel giro di due anni;
- Il regime terapeutico semplificato potrebbe portare a una riduzione del rischio di tossicità associate all’assunzione di tenofovir disoproxil fumarato o abacavir;
- Non sono note interazioni negative tra lamivudina e altri farmaci;
- Il rebound virale dopo il fallimento virologico del regime terapeutico semplificato non porta ad una resistenza crociata con tenofovir.
Una meta-analisi su dati di pazienti individuali ha raccolto i risultati di quattro trial randomizzati che hanno confrontato l’efficacia del trattamento di mantenimento a base di inibitore della proteasi potenziato e lamivudina e quello triplice. Nei quattro trial clinici, gli inibitori della proteasi somministrati al campione di 1051 partecipanti sono stati atazanavir, darunavir e lopinavir, ciascuno potenziato con ritonavir.
Dopo 48 settimane non è emersa alcuna differenza degna di nota nella percentuale di pazienti che presentavano una carica virale al di sotto delle 50 copie/ml (non rilevabile): erano 84,7% quelli in terapia duplice e 83,2% quelli invece in terapia triplice. Neanche nel caso dei pazienti che avevano interrotto il trattamento a causa del rebound virale sono state registrate variazioni significative.
Infine, neanche i risultati del confronto dei tre inibitori della proteasi potenziati, utilizzati negli studi, hanno evidenziato differenze e né il sesso del paziente né la presenza di una coinfezione da HVC hanno influenzato gli esiti.